Sesto Imolese, 8 febbraio, 1903 - Roma, 28 maggio 1982
Nata in una famiglia socialista di braccianti, è la prima di sei figli. Nel 1913 si trasferisce a Imola, dove frequenta le scuole tecniche.
Appena iscritta al Psi, nel 1920, lavora come segretaria per Amadeo Bordiga e Bruno Fortichiari in vista del Congresso di Livorno. È la sua prima attività politica, sarà così tra i fondatori del Pcd'I, mentre lavora stagionalmente al Consorzio agrario di Imola.
Divenuta responsabile delle donne comuniste imolesi, partecipa al primo convegno nazionale delle donne comuniste (Roma, marzo 1922). In quell'occasione conosce Giuseppe Berti allora segretario nazionale della Fgci, cui si lega sentimentalmente. All'inizio del 1923 raggiunge Berti a Milano dove lavora clandestinamente per il partito finché, dopo il primo arresto di Berti, i due decidono di espatriare illegalmente in Francia. Da lì raggiungono l'Urss, dove rimangono fino alla metà del 1926 allorché Berti, richiamato in Italia per lavorare a «l'Unità», è arrestato e condannato a tre anni di confino.
Nel marzo 1927 Maria, tornata a Imola, partorisce la figlia Vinca e sposa Berti per procura così da poterlo raggiungere a Ustica. Qui soggiornerà con la figlia per tutto il periodo di confino del marito, sino al 1929. Poco dopo riesce a espatriare illegalmente a Parigi dove lei e Berti riprendono l'attività politica.
Con la "svolta" del X Plenum dell'Internazionale comunista, Maria torna in Italia in vista della presunta, imminente caduta del fascismo. Dopo tre missioni andate a buon fine, nel luglio 1932, entrata dalla frontiera di Domodossola, viene fermata e arrestata perché trovata in possesso di materiale propagandistico e di tre carte d'identità false. Dal carcere di Bologna viene trasferita prima sull'isola di Ponza, poi a Ventotene, più tardi nel carcere di Poggioreale e infine in quello di Dorgali. Alla fine del 1942, scaduto il secondo periodo di confino, è trattenuta come internata. Viene liberata solo il 19 agosto 1943, quando il Governo Badoglio ebbe ordinato di rilasciare anche i comunisti.
Nella Resistenza, assicura i collegamenti tra Roma e Milano e lavora alla Segreteria del partito accanto a Mauro Scoccimarro, che rimarrà il suo compagno di vita. Nel 1945 entra nel Comitato direttivo della neonata Udi e per cinque anni lavora nella sua segreteria nazionale. Molti anni dopo, su proposta di Enrico Berlinguer, scrive le sue memorie. Muore tragicamente nel corso di una rapina mentre si apprestava a pubblicarle.
La carte di Maria Baroncini sono state donate alla Fondazione Gramsci dalla famiglia nel 2015, insieme alle carte di Mauro Scoccimarro.